Al confine tra Israele e Libano: tra bunker antimissile, cecchini e un nuovo muro di protezione

Betzalel ha 65 anni, una lunga barba grigia e occhiali da sole da cui non si separa mai. “Vedi quella casa laggiù”, mi dice indicando la cima di una collinetta distante 300 metri. “L’hanno appena costruita: dentro ci sono i cecchini”.
Betzalel vive a Misgav Am, un piccolo kibbutz nel nord di Israele a pochi metri dal confine con il Libano: 350 residenti e oltre 30 bunker antimissile.

Betzalel Lev-Tov, residente a MIsgav Am, un kibbutz sul confine tra Israele e Libano (Elia Milani)

“Dentro un bunker puoi vivere tutta la vita”, dice sorridendo mentre scendiamo le scale dirette al rifugio. “Qui c’è tutto: la doccia, un bagno, cibo, la televisione. Ora ci troviamo in un bunker pensato per i più piccoli”. Ci mostra i giocattoli e le palline colorate che riempiono la stanza: oggetti indispensabili per intrattenere i bambini del vicino asilo che in caso di attacco sono stati istruiti su come mettersi al riparo.

   — IL VIDEO DEL VIAGGIO AL CONFINE TRA ISRAELE E LIBANO —

Israele da una parte, il Libano dall’altra. Due paesi nemici che si fronteggiano lungo il confine dove è ancora vivo il ricordo delle guerre del 1982 e del 2006. Il sud del Paese dei Cedri è controllato da Hezbollah: il “partito di Dio” fa parte del governo di Beirut ma più di tutti gli altri gruppi politici libanesi minaccia Israele attraverso i velenosi proclami del suo leader Hassan Nasrallah.

Oltre la rete, le colline del Libano (Elia Milani)

“In tutta quest’area ci sono 280 villaggi controllati da Hezbollah e dal regime iraniano”, racconta Betzalel mentre mostra una vasta area oltre la rete di recinzione. “Hanno scavato bunker da cui possono lanciare missili con un raggio di 350 km. Paradossalmente è più sicuro stare qui piuttosto che a Tel Aviv o Haifa: se vogliono colpirci non sprecano certo un missile da una tonnellata e mezza… contro di noi possono usare semplici mortai, lancia razzi o i cecchini”.

Dal racconto di Betzalel non traspare nessuna preoccupazione. “Mi chiedi se ho paura? Ho paura della mia seconda moglie non di Hezbollah”, ci dice sorridendo. Perché a tutto questo lui è abituato. Da oltre 40 anni vive sulla propria pelle la tensione tra i due paesi. E ci tiene a ripetere che “la situazione da 12 anni non è mai stata così tranquilla”.

Un soldato dell’UNIFIL segue la costruzione della nuova parte del muro voluto da Israele iniziata lo scorso febbraio (Reuters)

Dopo la guerra del 2006 molte cose sono cambiate. Sul confine sono tornati i caschi blu della missione UNIFIL, la forza di interposizione Onu, che opera nell’area con 10.460 soldati da 41 paesi, 1100 dei quali sono italiani.

“La retorica che si legge nei giornali non corrisponde alla verità, qui la situazione è tranquilla”, ci dice Andrea Tenenti, portavoce dell’UNIFIL. “In tutti i nostri pattugliamenti, più di 450 giorno e notte, a piedi, con veicoli o con elicotteri non abbiamo visto una situazione tale da farci sospettare che ci siano armi che entrano nel sud del paese”.

Il riferimento è alle accuse lanciate dal governo di Gerusalemme nelle settimane scorse. Secondo i militari israeliani Hezbollah – con l’aiuto dell’Iran – starebbe trasformando il sud del Libano in una fabbrica di armi pronta a colpire Israele.

Una bandiera di Hezbollah sventola vicino al confine con Israele (AFP)

“Oggi Hezbollah può mettere in atto cyber-attacchi o colpire con i droni: possiede una tecnologia che non aveva 12 anni fa”. A parlare è Kobi Marom, ex comandante dell’esercito israeliano ora esperto di sicurezza. “I miliziani sono arretrati di qualche chilometro dopo la guerra del 2006 e hanno costruito bunker, tunnel e siti per i missili sotto le case di civili o anche sotto scuole e ospedali: ma noi sappiamo esattamente dove si trovano tutti questi nascondigli”. Come a dire che in caso di conflitto i jet di Gerusalemme sarebbero in grado di colpire chirurgicamente.

Il muro di protezione lungo 1.2 km è stato costruito da Israele nel 2012 vicino al confine: da febbraio è in fase di ampliamento. Subito dietro la barriera è possibile vedere una moschea libanese (Elia Milani).

Intanto per ridurre il rischio infiltrazioni nemiche il governo di Israele ha deciso di ampliare il muro di protezione costruito nel 2012 che corre per oltre un chilometro lungo il confine. A inizio febbraio le ruspe e gli operai – sotto l’occhio attento dell’UNIFIL – hanno iniziato a ampliare la barriera alta sette metri attrezzata con telecamere e sensori di movimento.

Ma pochi giorni fa un ragazzo libanese con problemi psichici è riuscito ad attraversare il confine e ad entrare a Metula, una piccola città israeliana a pochi metri dal muro. E’ stato interrogato e rimandato indietro immediatamente. 

“Capita che i sostenitori di Hezbollah vengano a sventolare le loro bandiere al confine”, ci racconta Rut, diciottenne che lavora in una boutique hotel in stile Bauhaus nel centro di Metula. “Poco tempo fa Hezbollah ha piantato una bandiera con una scritta in arabo: ‘attenti stiamo arrivando’. Per assicurarsi che capissimo il messaggio lo hanno scritto anche in ebraico”.

Rut, 18 anni, vive a Metula, una piccola città a pochi metri dal confine con il Libano (Elia Milani)

Ma Rut, nonostante la giovane età, è abituata alle minacce. Non ha paura perché, come ripete, niente è come la guerra, quella vera, che ha sperimentato nel 2006. “Avevo sei anni ed ero a giocare nel salotto quando un gruppo di soldati israeliani è entrato in casa e mi ha detto di andarmene: da quel momento tutto l’edificio era sotto il controllo dell’esercito”.

Dodici anni dopo quella guerra durata 34 giorni ora sul confine regna una calma apparente. “Io oggi sono serena… e sono sicura che anche dall’altra parte ci siano persone come me, che non vogliono una guerra ma solo essere felici e godersi la vita”.

twitter@elia_milani

 

Il Mondiale a Beirut tra bandiere, attentati, campi profughi e tv israeliane

La bandiera tedesca sventola sopra le case del campo di Shatila poche ore prima della partita con il Brasile (foto Elia Milani)

La bandiera tedesca sventola sopra le case del campo profughi di Sabra e Shatila poche ore prima della partita Brasile-Germania (foto Elia Milani)

Adam aveva previsto tutto. I “panzer” tedeschi avrebbero stravinto contro il Brasile e l’Argentina avrebbe battuto l’Olanda. “I verdeoro sono la squadra di casa, ma la mia Germania è la più forte”, aveva detto qualche giorno fa. “L’Argentina ha Messi, non c’è altro da dire”. Adam ha 6 anni, faccia rotonda, capelli corti e una passione per al kura, il calcio. È nato nel campo profughi di Sabra e Shatila, nella periferia di Beirut. Tra le stradine umide e sporche del campo abitato da quasi 20mila palestinesi ha imparato a palleggiare proprio come Messi, il suo idolo. Suo fratello Yousef, 14 anni, va invece pazzo per Cristiano Ronaldo e per la Seleção. “Ho visto tutte le partite del Brasile con i miei amici con la faccia colorata di verde”, racconta mentre, tra una partita a Candy Crash e l’altra, mostra sul mini tablet di famiglia le foto delle serate passate a vedere il team di Scolari in azione. Adam e Yousef sono due bambini palestinesi, figli di Ahmad, 42 anni, imbianchino con la passione per lo sport, fondatore di una squadra di calcio e del primo team di basket femminile di Beirut, dove gioca anche Aziza l’altra figlia di 15 anni. “Preferisco che i miei ragazzi giochino sotto i miei occhi”, racconta Ahmad. “Non sai mai cosa può succedere giocando per le strade qui a Beirut…”

Adam, 6 anni, nella sua casa nel campo profughi di Sabra e Shatila (foto Elia Milani)

Adam, 6 anni, nella sua casa nel campo profughi di Sabra e Shatila, Beirut (foto Elia Milani)

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Nasi rossi nel campo profughi

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Nel campo profughi di Sabra e Shatila, Beirut

Un pagliaccio con il naso rosso e i capelli spettinati corre con una chitarra in mano per le stradine sporche alla periferia di Beirut. Dietro di lui una folla di bambini e altri tre clown. Tra le mani agitano un tamburello e un ombrello colorato anche se da queste parti è raro che il sole stia nascosto dietro le nuvole. I pagliacci sono Kevin, Geraldine, Francoise e Virginie, i volontari dell’associazione Clowns and Magicians Without Borders, gruppo nato 10 anni fa in Belgio con uno scopo: far tornare a sorridere i bambini che, a causa della guerra, hanno ormai dimenticato come si fa. Continua a leggere