Haim Tomer, ex Mossad: “I leader di molti paesi arabi vogliono che Israele elimini Hamas”

Haim Tomer è stato per nove anni un agente del Mossad, i servizi segreti israeliani che operano all’estero. Dal 2007 al 2011 è stato direttore della sezione intelligence dell’ “Istituto” (questo il significato della parola Mossad in ebraico). Dal 2011 al 2014 è stato a capo delle missioni all’estero. 

Haim Tomer, ex agente del Mossad

Mr Tomer, dopo la fine della tregua tra Israele e Hamas c’è la possibilità di arrivare a un nuovo cessate il fuoco?

Non credo. Penso che il governo israeliano non sia più interessato ad un accordo con Hamas. Ora si va verso violenti combattimenti nel sud di Gaza dove si trova la leadership del movimento islamista. Il piano è colpire duramente i capi o costringerli a lasciare la Striscia, una situazione simile a quella del 1982 a Beirut quando Arafat andò via dal Libano.

In questa fase Israele potrebbe essere pronto a sacrificare gli oltre 130 ostaggi che sono ancora nella Striscia?

Si potrebbe pensare che combattere mentre gli ostaggi sono ancora nelle mani di Hamas dentro Gaza aumenti il rischio di non vederli più tornare a casa vivi. Io credo invece che se i combattimenti continuano, per altre due o tre settimane, Hamas sarà messo alle strette e sarà più propenso a rilasciare tutti gli ostaggi. E non penso che gli ostaggi saranno uccisi perché rappresentano l’unica e ultima risorsa nelle mani dei terroristi.

C’è il rischio che la guerra in corso, con le morti di tanti civili, metta a repentaglio le relazioni che Israele ha costruito con i paesi arabi? 

Non sono più nel Mossad da otto, nove anni. Ma ho molti amici nel mondo arabo. E posso dirvi che tutti i miei contatti nei paesi del Golfo e in Giordania, mi dicono: “Finiteli, finitili”. Ai loro occhi Hamas è come l’Isis, come Al-Qaida. Hamas non solo minaccia Israele, ma minaccia anche la Giordania. E minaccia potenzialmente i Sauditi perchè è alleato degli Houthi. E tutti sanno che Hamas è finanziato e addestrato dall’Iran. Certo ci sono manifestazioni anti Israele nelle strade del Medio Oriente ma non credo che ci sia alcun rischio di mettere seriamente a repentaglio le relazioni che lo Stato Ebraico ha stretto negli ultimi anni con i partner arabi.   

Il New York Times ha parlato di “Jericho Wall”, un documento di 40 pagine, ignorato dai servizi di intelligence israeliani in cui veniva descritto nei dettagli un attacco di Hamas su larga scala come quello che è stato lanciato il 7 Ottobre scorso. E’ solo l’ultimo dei report che mostrano come molte informazioni siano state sottovalutate dalle autorità. Come è stato possibile?

Credo che i motivi siano due. Il primo è il fatto che la leadership dello Shin Bet (i servizi segreti interni) e dell’esercito, che sono responsabili di quello che succede a Gaza, hanno stabilito una strategia secondo la quale Hamas non avrebbe mai lanciato un attacco su larga scala contro Israele, al massimo un lancio di razzi contro le città del sud o l’attacco a una singola postazione militare, non di più. E’ stato un errore. Se pensi in questo modo non sei molto disposto ad ascoltare le segnalazioni di allarme che arrivano dai tuoi subordinati. 

Il secondo punto riguarda il primo ministro. Il premier ha ricevuto molte indicazioni dall’intelligence secondo cui la spaccatura della società in Israele – legata alla riforma giudiziaria promossa da Netanyahu – avrebbe portato Hamas e Hezbollah a tentare di agire contro lo Stato Ebraico. Una lettera è stata inviata personalmente al premier dal capo dell’unità di intelligence dell’esercito. Se sei il premier di un paese che ogni due, tre anni combatte con Hamas, una lettera del genere non puoi ignorarla. Se sei il premier mi aspetto che ti chieda: “due soli battaglioni sono sufficienti ad operare lungo tutto il confine con Gaza e Egitto?”. Ricordo che quando il Ministro della Difesa Gallant ha segnalato nei mesi scorsi un rischio serio e imminente per la sicurezza di Israele la risposta è stata il suo licenziamento.

 

Haim Tomer è stato a capo della sezione intelligence del Mossad dal 2007 al 2012 e poi a capo della sezione operazioni estere fino al 2014.

Israele andrà avanti fino a quando raggiungerà i suoi obiettivi (la sconfitta di Hamas e la liberazione degli ostaggi) o si fermerà prima?

Dipende da diversi fattori. C’è il fattore meteo. Ci stiamo avvicinando all’inverno e manovrare truppe dentro Gaza nella stagione fredda non è semplice. Anche la visibilità dell’aviazione è minore rispetto all’estate. C’è poi il fattore americano. A inizio gennaio partirà la vera campagna elettorale di Biden. E non penso che il presidente degli Stati Uniti voglia che questa guerra continui a lungo: parte del Partito Democratico è contraria ai duri combattimenti, anche se contro Hamas. Poi c’è Hezbollah. Ci sono scontri quotidiani al confine tra Israele e Libano ma al momento si tratta di una guerra di attrito. Hezbollah non sta usando tutte le sue forze, ma tiene impegnate al nord le nostre truppe che così non possono schierarsi a supporto di quelle a sud. Nel 2006 tre soldati israeliani sono stati sequestrati e hanno dato il via a una guerra durata di 33 giorni. Quello fu un errore, ha ammesso Nasrallah, il leader del Partito di Dio, vista la violenta reazione di Israele. E credo che Nasrallah sia sul punto di commettere un altro errore. Infine c’è la comunità internazionale: sta criticando Israele, ma non ha ancora adottato misure concrete. Cosa che presto potrebbe cambiare.

Quale sarà l’impatto sulla guerra a Gaza se venissero uccisi i suoi leader Yahya Sinwar e Mohammed Deif?

Significherebbe la distruzione della leadership di Hamas. Questo spingerebbe i restanti membri del gruppo a chiedere una sorta di accordo in cui si dichiarano pronti a smilitarizzare l’organizzazione, cosa che non credo avverrà mai sotto la guida di Sinwar e Deif. Ma forse, dopo l’uccisione di Mohammed Deif, Sinwar e altri leader, nei ranghi inferiori capiranno che devono accettare un nuovo tipo di accordo che prevede il disarmo delle loro capacità di offesa: niente più razzi e niente più missili.

Il premier Netanyahu ha detto che saranno colpiti i leader di Hamas ovunque nel mondo: significa che prima o poi saranno uccisi anche i capi che vivono all’estero come Khaled Meshal e Ismail Haniye?

Sì, credo che questo avverrà. Ognuno di loro sopra la sua testa ha una condanna a morte per aver ucciso 1200 israeliani. Quando avremo la possibilità di colpirli lo faremo. Non sarà facile perchè sono consapevoli che Israele li sta cercando e si stanno preparando. Ma credo che saremo in grado di trovarli tutti. Prima o poi saremo in grado di mettere le nostre mani su di loro, perché sono degli assassini.

C’è il rischio che i palestinesi vengano spinti in Egitto?

La possibilità che ciò avvenga è molto bassa. Sarebbe possibile solo nel quadro di una vasta iniziativa internazionale, europea, statunitense e panaraba che permetterebbe alle persone di lasciare Gaza per vivere in un campo profughi temporaneo in una zona chiusa, nella parte egiziana vicino al confine con Gaza. Non ci sono molte possibilità anche perché gli egiziani conoscono i palestinesi e per molti, molti anni hanno rifiutato di permettere a un gran numero di loro di accamparsi in Egitto.

Grassi e con il diabete: il lato oscuro dei ricchi paesi del Golfo

“Nella mia famiglia abbiamo un detto: se non hai il diabete non sei un vero abitante del Kuwait”. Dhari al Fadli ha 49 anni, 5 figli e 123 chili di peso. Fa parte della metà oversize del piccolo stato mediorientale, tre milioni di abitanti, un milione e mezzo sovrappeso. Obesità e diabete. Una tendenza che sta diventando costante in quasi tutti i paesi del Golfo: dal Qatar, all’Arabia Saudita passando per gli Emirati Arabi sempre più persone sono colpite dalla “malattia del benessere”, il vero lato oscuro del boom economico.

Dimagrire per volere del re – Secondo uno studio delle Nazioni Unite in Kuwait vive la più alta percentuale di adulti obesi di tutto il Medio Oriente (42,8%). Al secondo posto l’Arabia Saudita con il 35,2%. E proprio nello stato culla dell’Islam i chili di troppo stanno diventando un problema tanto da attirare l’attenzione del vecchio re Abdallah. E’ stato il sovrano in persona a intervenire per salvare il suo suddito più sovrappeso, Khalid bin Mohsen Shaari, 19 anni e 610 chili, considerato uno degli uomini più grassi del mondo. Il ragazzo, incapace di muoversi con le proprie gambe, è stato portato per ordine di sua Maestà al King Fahd Medical City di Riyad, dove sono stati istallati un letto e dei carrelli speciali per muovere il paziente tra i reparti in cui dovrà curarsi nei prossimi mesi. Continua a leggere