Viaggio al confine tra Macedonia e Grecia, il fronte più caldo del sud Europa

“Fa freddo, ma almeno non piove”. Quindici giorni fa la più grande preoccupazione di Hussein Alì era legata al clima. Questo ragazzo alto e con gli occhi sorridenti – afghano sciita di Kunduz – camminava tranquillo insieme a due amici tra le tende del campo profughi di Gevgelija, in Macedonia.

 

Il confine tra Macedonia e Grecia

Il muro di filo spinato a Idomeni, al confine tra Macedonia e Grecia (Ansa)

“Nella mia città i talebani e l’Isis vogliono tagliare la testa a noi sciiti”, raccontava subito dopo aver attraversato il confine. Nelle sue parole la preoccupazione per la sua famiglia rimasta a Kunduz, nei suoi occhi la speranza per il futuro e il sogno di un’Europa sempre più vicina.

“Ho amici della mia città che stanno scappando, tra qualche giorno saranno qui”, diceva. Purtroppo in 15 giorni la situazione è cambiata qui al confine sud dell’Europa. Oggi gli amici di Hussein Alì non sono più i benvenuti. Possibile che proprio ragazzi come loro fossero tra i profughi che il 29 febbraio hanno tentato di sfondare il muro di ferro costruito sul confine greco.

Quindici giorni fa al confine c’erano già i primi blocchi: si facevano passare solo siriani, iracheni e afghani. Per gli altri il viaggio della speranza finiva.

Da settimana scorsa anche gli afghani sono stati bloccati: nessun permesso di accesso in Serbia e Macedonia. Venerdì 26 febbraio Slovenia, Croazia, Serbia e la stessa Macedonia hanno imposto un limite di 580 accessi giornalieri nel tentativo di scoraggiare le partenze per la cosiddetta “rotta balcanica”. E così giorno dopo giorno il campo profughi di Idomeni, in Grecia, a 50 metri dal confine macedone, si riempiva di nuovi arrivati.

 

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 Europa alla frutta

 

A controllare la zona non solo la polizia di Skopje ma anche le forze dell’ordine inviate da Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia a difesa del confine di un paese che non fa parte dell’Unione Europea ma che di fatto è diventato l’ultimo baluardo contro l’ondata migratoria da sud.

Ma la gente non si ferma. Ieri gli scontri e la tensione alle stelle.

Solo 15 giorni fa tutto sembrava più tranquillo. Il flusso continuava regolare. “Qui passano una media di 2500 persone al giorno”, ci aveva detto Jesper Provin Jensen, responsabile Unicef del campo profughi.

Oggi gran parte di quelle persone sono bloccate in Grecia. Ma non hanno nessuna intenzione di fermarsi.

Solo 15 giorni. Tanto basta di questi tempi a trasformare un luogo di transito nei Balcani nella zona più calda d’Europa.

twitter@elia_milani