Isis, “largo ai giovani”: il campo di addestramento dei baby mujahidin

Bambini soldato nel campo di addestramento dell'Isis (You Tube)

Bambini soldato nel campo di addestramento dell’Isis (You Tube)

Ragazzini vestiti di nero, in fila, uno vicino all’altro. L’insegnante barbuto si avvicina. E inizia a colpire le giovani reclute. Pugni al petto e in pancia. Poi arrivano i calci: colpi alle ginocchia, agli stinchi e al petto. I ragazzi (avranno sì e no 12-13 anni) vengono fatti sdraiare per terra: il maestro li colpisce allo stomaco e li fa rialzare al grido di Allah akbar, Dio è grande. Benvenuti nel campo di addestramento per baby mujahidin “gestito” dall’Isis.

E’ dima’ al jihad 2, il “sangue del jihad 2”, ennesimo video messo online dalla rete terroristica autoproclamatasi stato nel cuore di Iraq e Siria. Il filmato è stato girato nel governatorato di Ninawa, nel nord ovest dell’Iraq all’esterno di un palazzone abbandonato. E’ qui che vanno in scena gli addestramenti delle nuove reclute del Califfo. E dopo il campo per gli uomini (diffuso nel video dima’ al jihad 1ecco quello per i più giovani, i futuri combattenti al servizio di Al Baghdadi.

I bambini vengono presi a pugni e calci dal loro maestro ma non piangono, qualcuno addirittura sorride. Questi giovani sanno che con questi allenamenti si preparano a diventare eroi o, se saranno fortunati, martiri.

Nel campo di addestramento dell'Isis (You Tube)

Nel campo di addestramento dell’Isis (You Tube)

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Isis, quei campi d’addestramento con armi, equipaggiamento e mujahidin americani

campi addestramento Isis

Cento ragazzi che strisciano nella sabbia tra le pallottole. Cento ragazzi che diventano combattenti. Cento ragazzi pronti a morire per il loro Califfo. Sono gli shabab, le nuove reclute dello Stato Islamico che in fila, vestiti di bianco, frequentano uno dei tanti campi di addestramento nel cuore del Califfato. E’ dima’ al jihad, “sangue del jihad”, l’ultimo video diffuso dallo Stato Islamico che racconta la formazione dei giovani combattenti dell’Isis. Continua a leggere

Vita nel Califfato, tra manichini velati, chiese distrutte, bombe Usa e viaggi di nozze

 

isis elia

Miliziani dello Stato Islamico a Raqqa, Siria (Ap)

Teste mozzate, coltellacci insanguinati, bandiere nere e folle di barbuti che imbracciano un fucile gridando al mondo la grandezza di Allah. Sono i mujahidin dell’Isis, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, gruppo terrorista sunnita che nel mondo arabo chiamano Da’ish. Le imprese di questi soldati che con il volto coperto e vestiti di nero promettono morte agli infedeli hanno preso in contropiede il mondo dell’intelligence (americani e sauditi su tutti) rimasto stupito della rapidità del successo militare. Agli occhi degli analisti questo gruppo terrorista sembrava poco più di un insieme di fanatici, come ce ne sono tanti in Medio Oriente. Questo fino alla sera del 29 giugno scorso quando, all’inizio del Ramadan, veniva proclamata la restaurazione del Califfato Islamico, una resurrezione 100 anni dopo la fine del Califfato Ottomano, defunto alla fine della Prima Guerra Mondiale. Ora il Califfato è rinato e alla sua guida c’è Ibrahim Abu Bakr al Baghdadi, l’esperto di studi teologici iracheno che ha guidato i suoi alla conquista del Medio Oriente. Nelle siriane Raqqa, Dei aZ-Zur, e nelle irachene Falluja, Tikrit e soprattutto Mosul (la seconda città dell’Iraq con 2milioni e 800 mila abitanti, poco meno di Roma) oggi sventola la bandiera nera. Una cavalcata trionfale che ha attirato l’attenzione dei governi di tutto il mondo preoccupati per il fascino che questo stato dei “puri” sta avendo sui giovani sparsi in tutto il mondo. Ecco allora l’invio di droni americani: Washington è preoccupata per l’incolumità dei suoi connazionali, per quella dei cristiani d’Oriente e, soprattutto,  per la diffusione di un movimento che ha come obiettivo quello di “far sventolare la bandiera nera sopra la Casa Bianca”. In queste ore aerei senza pilota stanno colpendo postazioni strategiche nello Stato Islamico. Ma i danni non sembrano fermare il gruppo di Al Baghdadi che dopo gli scontri a fuoco contro l’esercito iracheno e curdo lavorano giorno e notte al rafforzamento di uno Stato dove la parola di Allah è legge. Continua a leggere

Il Mondiale a Beirut tra bandiere, attentati, campi profughi e tv israeliane

La bandiera tedesca sventola sopra le case del campo di Shatila poche ore prima della partita con il Brasile (foto Elia Milani)

La bandiera tedesca sventola sopra le case del campo profughi di Sabra e Shatila poche ore prima della partita Brasile-Germania (foto Elia Milani)

Adam aveva previsto tutto. I “panzer” tedeschi avrebbero stravinto contro il Brasile e l’Argentina avrebbe battuto l’Olanda. “I verdeoro sono la squadra di casa, ma la mia Germania è la più forte”, aveva detto qualche giorno fa. “L’Argentina ha Messi, non c’è altro da dire”. Adam ha 6 anni, faccia rotonda, capelli corti e una passione per al kura, il calcio. È nato nel campo profughi di Sabra e Shatila, nella periferia di Beirut. Tra le stradine umide e sporche del campo abitato da quasi 20mila palestinesi ha imparato a palleggiare proprio come Messi, il suo idolo. Suo fratello Yousef, 14 anni, va invece pazzo per Cristiano Ronaldo e per la Seleção. “Ho visto tutte le partite del Brasile con i miei amici con la faccia colorata di verde”, racconta mentre, tra una partita a Candy Crash e l’altra, mostra sul mini tablet di famiglia le foto delle serate passate a vedere il team di Scolari in azione. Adam e Yousef sono due bambini palestinesi, figli di Ahmad, 42 anni, imbianchino con la passione per lo sport, fondatore di una squadra di calcio e del primo team di basket femminile di Beirut, dove gioca anche Aziza l’altra figlia di 15 anni. “Preferisco che i miei ragazzi giochino sotto i miei occhi”, racconta Ahmad. “Non sai mai cosa può succedere giocando per le strade qui a Beirut…”

Adam, 6 anni, nella sua casa nel campo profughi di Sabra e Shatila (foto Elia Milani)

Adam, 6 anni, nella sua casa nel campo profughi di Sabra e Shatila, Beirut (foto Elia Milani)

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