Tabelline sotto le bombe: a lezione nelle scuole “italiane” di Aleppo

“Sette per uno sette, sette per due quattordici, sette per tre ventuno…”. Gessetto in mano, il maestro scrive in colonna i numeri alla lavagna. I bambini lo ascoltano in silenzio seduti tra i banchi rosa e neri. La lezione di matematica è iniziata da 10 minuti. All’improvviso lo scoppio di una bomba poco lontano. La lezione prosegue. Dopo pochi secondi un’altra esplosione. Gli alunni, tutti tra i 5 e i 12 anni, quasi non ci fanno caso. Nel nord della Siria i bambini sono abituati al sibilo e al frastuono delle bombe lanciate dagli aerei e nulla li distoglie dalla lezione. E’ iniziato così il primo giorno di scuola per 456 bambini di Huraytan, città a 11 chilometri da Aleppo.

Un insegnante con gli alunni in una scuola di Aleppo (Ansa)

Un insegnante con gli alunni in una scuola di Aleppo (Ansa)

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La farmacia italiana ad Aleppo a 100 metri dalla linea di fuoco

Ad Aleppo basta sbagliare strada per finire sulla linea dei combattimenti e rischiare la vita. E nel labirinto di vicoli che formano la città vecchia è praticamente impossibile non perdersi. Zena però la strada la conosce bene e sa come portare a destinazione il prezioso carico che ha tra le mani. Non si tratta di computer, cellulari o gps ma di latte in polvere, antibiotici, antidolorifici, sciroppi, antinfiammatori e cortisone spediti da Modena e arrivati in città grazie a Time4Life, l’associazione italiana che organizza viaggi in Siria per portare aiuti e medicinali. E’ solo grazie a loro se in mezzo alle macerie della città vecchia patrimonio dell’Unesco è stata aperta l’unica farmacia italiana, a cento metri dalla red zone dove esercito di Assad e ribelli si affrontano senza sosta. Per evitare di finire sotto il fuoco incrociato ci vogliono giovani come Zena che conoscono i vicoli a memoria e sono in grado di rifornire la farmacia trasportando i pesanti scatoloni pieni di medicine italiane. Continua a leggere

Alì, il pediatra dei profughi siriani: “Io non scappo, i bambini hanno bisogno di me”

“Molti medici siriani sono scappati e ora lavorano all’estero”. Il dottor Alì resta un attimo in silenzio. Sullo sfondo le grida dei bambini rendono difficile la conversazione via telefono già disturbata. “Io non ho mai pensato di lasciare la Siria perché qui la gente ha bisogno di me. Non ho paura delle bombe e voglio restare ad aiutare i siriani di ogni religione ed etnia”. Alì Abu al Jud Naser, o semplicemente “dottor Alì”,  come lo chiamano i volontari, ha 38 anni ed è il pediatra del campo profughi di Bab al Salam al confine tra Siria e Turchia.

Le tende di questo campo ospitano 16 mila persone, tra cui 8mila bambini (il più piccolo ha compiuto da poco un mese). “Al campo arrivano ogni giorno quasi 100 bambini insieme alle loro famiglie”, racconta il giovane medico. “Facciamo fatica ad aiutarli perché le condizioni sono pessime: l’acqua non è potabile, le medicine scarseggiano e il numero dei piccoli continua ad aumentare. Ce ne sono di ogni età, da un mese a 10 anni”, ripete più volte Alì come a intendere che in Siria, a 11 anni, non è più possibile essere bambini.

Il dottor Alì nell’ambulatorio del campo profughi di Bab al Salam

Una delle pazienti più piccole di Alì è Rama: ha 8 mesi e un cuore malato. “Ha bisogno di un intervento chirurgico ma la sua famiglia è molto povera”, racconta il pediatra. “In Siria non ci sono ospedali in grado di curarla e la piccola deve essere trasferita al più presto in Turchia come abbiamo fatto con Fatima un’altra bimba che ora sta bene”. Rama e Fatima sono solo due gocce in quell’ondata di profughi-bambini (un milione in tutto) che ha detto addio ai giochi e all’età della speranza per scappare da una guerra civile che, secondo l’Onu, ha causato la morte di 100mila persone. Continua a leggere