La farmacia italiana ad Aleppo a 100 metri dalla linea di fuoco

Ad Aleppo basta sbagliare strada per finire sulla linea dei combattimenti e rischiare la vita. E nel labirinto di vicoli che formano la città vecchia è praticamente impossibile non perdersi. Zena però la strada la conosce bene e sa come portare a destinazione il prezioso carico che ha tra le mani. Non si tratta di computer, cellulari o gps ma di latte in polvere, antibiotici, antidolorifici, sciroppi, antinfiammatori e cortisone spediti da Modena e arrivati in città grazie a Time4Life, l’associazione italiana che organizza viaggi in Siria per portare aiuti e medicinali. E’ solo grazie a loro se in mezzo alle macerie della città vecchia patrimonio dell’Unesco è stata aperta l’unica farmacia italiana, a cento metri dalla red zone dove esercito di Assad e ribelli si affrontano senza sosta. Per evitare di finire sotto il fuoco incrociato ci vogliono giovani come Zena che conoscono i vicoli a memoria e sono in grado di rifornire la farmacia trasportando i pesanti scatoloni pieni di medicine italiane. Continua a leggere

Alì, il pediatra dei profughi siriani: “Io non scappo, i bambini hanno bisogno di me”

“Molti medici siriani sono scappati e ora lavorano all’estero”. Il dottor Alì resta un attimo in silenzio. Sullo sfondo le grida dei bambini rendono difficile la conversazione via telefono già disturbata. “Io non ho mai pensato di lasciare la Siria perché qui la gente ha bisogno di me. Non ho paura delle bombe e voglio restare ad aiutare i siriani di ogni religione ed etnia”. Alì Abu al Jud Naser, o semplicemente “dottor Alì”,  come lo chiamano i volontari, ha 38 anni ed è il pediatra del campo profughi di Bab al Salam al confine tra Siria e Turchia.

Le tende di questo campo ospitano 16 mila persone, tra cui 8mila bambini (il più piccolo ha compiuto da poco un mese). “Al campo arrivano ogni giorno quasi 100 bambini insieme alle loro famiglie”, racconta il giovane medico. “Facciamo fatica ad aiutarli perché le condizioni sono pessime: l’acqua non è potabile, le medicine scarseggiano e il numero dei piccoli continua ad aumentare. Ce ne sono di ogni età, da un mese a 10 anni”, ripete più volte Alì come a intendere che in Siria, a 11 anni, non è più possibile essere bambini.

Il dottor Alì nell’ambulatorio del campo profughi di Bab al Salam

Una delle pazienti più piccole di Alì è Rama: ha 8 mesi e un cuore malato. “Ha bisogno di un intervento chirurgico ma la sua famiglia è molto povera”, racconta il pediatra. “In Siria non ci sono ospedali in grado di curarla e la piccola deve essere trasferita al più presto in Turchia come abbiamo fatto con Fatima un’altra bimba che ora sta bene”. Rama e Fatima sono solo due gocce in quell’ondata di profughi-bambini (un milione in tutto) che ha detto addio ai giochi e all’età della speranza per scappare da una guerra civile che, secondo l’Onu, ha causato la morte di 100mila persone. Continua a leggere

O i baffi o la vita: la battaglia di Malik contro gli estremisti islamici

Ai suoi baffoni non ha mai pensato di rinunciare. Ci ha messo così tanto a farli crescere e non ha nessuna intenzione di tagliarli, nonostante le numerose minacce di morte. Malik Amir Mohammad Khan Afridi ha 48 anni e da 20 anni impomata, accarezza e profuma i suoi baffi di 76 centimetri che si inarcano fino all’altezza della fronte. Tra gli abitanti del suo villaggio di Banna, 250 chilometri a nord di Islamabad, tutti lo considerano una star. Non gli uomini di Lashkar-i-Islam, gruppo di estremisti islamici che lotta per imporre la shari’a. E che non tollera quei baffi che si innalzano troppo verso il cielo.

 

Malik Amir Mohammad Khan Afridi, il commerciante pakistano sequestrato dagli integralisti musulmani a causa dei suoi baffi (Afp)

Negli ultimi quattro anni il baffuto pakistano è stato più volte minacciato di morte. Nel 2009 i terroristi lo hanno sequestrato per un mese e lo hanno rilasciato solo dopo la sua promessa di radersi. Malik però non ha accorciato di un centimetro i suoi baffoni neri e si è trasferito nella vicina Peshawar lasciando nel suo villaggio la moglie e i 10 figli. Ha preferito una vita da esiliato lontano dai suoi cari piuttosto che rinunciare al suo rituale mattutino preferito: una toeletta di mezz’ora per trattare i baffi con olio di mandorle e con una speciale cera di composizione ignota che gli costa 150 dollari al mese, il triplo dello stipendio medio di un insegnante pakistano. Continua a leggere

Un americano (jihadista) in Siria

Tra i passaporti ammucchiati nella base di Al Qaeda è spuntato il suo. Amir Farouk Ibrahim, 32 anni, americano. Insieme ai ribelli che combattono in Siria contro Assad c’è anche questo ragazzo della Pennsylvania con passaporto a stelle e strisce attivo, molto probabilmente, con i soldati dello “Stato Islamico di Iraq e del Levante”, gruppo estremista vicino ad Al Qaeda. Il documento è stato trovato a Ras al Ayn (città al confine con la Turchia) in una ex base controllata dal partito islamista. Era insieme ad altri 15 passaporti di stranieri entrati nella “pentola a pressione siriana”: sauditi, iracheni, turchi e tunisini, tutti parte di quella schiera che ha abbandonato il proprio Paese per venire a combattere la guerra santa in Siria.

Amir Faruk Ibrahim, l’americano che combatte a fianco dei ribelli siriani

Se l’identità di Amir Farouk Ibrahim venisse confermata si tratterebbe del terzo americano volato in Medio Oriente per combattere il jihad. Prima di lui Eric Harroun, ex marine che ha confessato di avere agito al fianco di Jabhat al Nusra, i ribelli integralisti che avrebbero tentato di utilizzarlo come portavoce. Ora, dopo essere stato arrestato dall’Fbi, rischia la sedia elettrica. La terza della lista è Nicole Lynn Mansfield, una donna di 33 anni del Michigan, convertitasi all’Islam e trovata morta nel nord ovest della Siria. Tre jihadisti born in the Usa che fanno notizia anche perchè è dagli Stati Uniti che è partita la guerra al terrore senza frontiere costata miliardi di dollari.

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