Il Mondiale a Beirut tra bandiere, attentati, campi profughi e tv israeliane

La bandiera tedesca sventola sopra le case del campo di Shatila poche ore prima della partita con il Brasile (foto Elia Milani)

La bandiera tedesca sventola sopra le case del campo profughi di Sabra e Shatila poche ore prima della partita Brasile-Germania (foto Elia Milani)

Adam aveva previsto tutto. I “panzer” tedeschi avrebbero stravinto contro il Brasile e l’Argentina avrebbe battuto l’Olanda. “I verdeoro sono la squadra di casa, ma la mia Germania è la più forte”, aveva detto qualche giorno fa. “L’Argentina ha Messi, non c’è altro da dire”. Adam ha 6 anni, faccia rotonda, capelli corti e una passione per al kura, il calcio. È nato nel campo profughi di Sabra e Shatila, nella periferia di Beirut. Tra le stradine umide e sporche del campo abitato da quasi 20mila palestinesi ha imparato a palleggiare proprio come Messi, il suo idolo. Suo fratello Yousef, 14 anni, va invece pazzo per Cristiano Ronaldo e per la Seleção. “Ho visto tutte le partite del Brasile con i miei amici con la faccia colorata di verde”, racconta mentre, tra una partita a Candy Crash e l’altra, mostra sul mini tablet di famiglia le foto delle serate passate a vedere il team di Scolari in azione. Adam e Yousef sono due bambini palestinesi, figli di Ahmad, 42 anni, imbianchino con la passione per lo sport, fondatore di una squadra di calcio e del primo team di basket femminile di Beirut, dove gioca anche Aziza l’altra figlia di 15 anni. “Preferisco che i miei ragazzi giochino sotto i miei occhi”, racconta Ahmad. “Non sai mai cosa può succedere giocando per le strade qui a Beirut…”

Adam, 6 anni, nella sua casa nel campo profughi di Sabra e Shatila (foto Elia Milani)

Adam, 6 anni, nella sua casa nel campo profughi di Sabra e Shatila, Beirut (foto Elia Milani)

Adam e Yousef hanno imparato a palleggiare nei vicoli buoi del campo, larghi anche meno di un metro. Sopra le loro teste i cavi dell’elettricità si attorcigliano attorno ai tubi dell’acqua e ai panni stesi. Qui lo spazio è poco ma c’è sempre posto per la bandiera di una squadra di calcio. Gli stemmi di Brasile, GermaniaOlanda, Argentina e Francia sono ovunque, spesso vicino ai mega poster che raffigurano gli shuhada’, i martiri palestinesi.

Sulle bancarelle all’ingresso del campo si trova di tutto: dai bandieroni da stadio, alle onnipresenti a’lam, le bandierine delle nazionali che i libanesi attaccano ai finestrini delle macchine o sulle selle degli scooter. Ci sono anche adesivi da attaccare ai cofani delle auto, copri selle per moto e copri specchietti retrovisori, tutti rigorosamente in “versione Mundial”. Qui il campionato del mondo è una cosa seria: dentro e fuori dal campo tutti mostrano fieri la loro fede calcistica che in questi giorni conta quasi più di quella religiosa.

L'entrata al campo profughi di Sabra e Shatila (foto Elia Milani)

L’entrata al campo profughi di Sabra e Shatila (foto Elia Milani)

Nelle ultime settimane in questa zona della città la tensione è salita, non solo per le partite dei Mondiali. “L’entrata al campo di Shatila non è più una zona sicura”, racconta Ahmad. “Pochi giorni fa c’è stata una sparatoria e un morto proprio a due passi da casa mia. I litigi e gli screzi che capitano durante le ore di digiuno del Ramadan degenerano sempre più spesso”, dice preoccupato. “Un ragazzo armato è venuto sotto casa mia e voleva spararmi. Gli ho detto che se voleva ammazzarmi doveva avere il coraggio di farlo sotto gli occhi di sua madre che abita qui vicino… lui ha abbassato l’arma e se n’è andato”. Nervi tesi dunque, ma come ci tiene a precisare l’ “imbianchino-allenatore”, dentro il campo tutti sono al sicuro: “Lo controlliamo noi palestinesi , la polizia libanese qui non entra”.

Le foto degli shuhada', i martiri di Sabra e Shatila vicino a una moschea del campo profughi (foto Elia Milani)

Le foto degli shuhada’, i martiri di Sabra e Shatila vicino a una moschea del campo profughi (foto Elia Milani)

L’esercito libanese staziona al limite del campo, dalle parti dell’ambasciata del Kuwait. È qui che si trova l’entrata di Dakihe, la zona sciita di Beirut sotto controllo di Hezbollah, il partito di Dio. I pochi stranieri curiosi che si avventurano fino a qui sono accolti dai manifesti di Bashar al Assad, il presidente dittatore della Siria. Gli sciiti di Hezbollah sostengono Assad in una guerra che dura da più di tre anni: il loro impegno attivo anche in territorio siriano ha attirato le ire dei sunniti jihadisti di Jabha al Nusra e dell’Isis. La tensione in questa zona di Beirut è costante. Il 23 giugno scorso un kamikaze ha fatto saltare in aria la sua macchina piena di esplosivo vicino a un bar affollato dove veniva trasmessa Brasile-Camerun: il coraggio di un soldato al posto di blocco ha impedito una strage e i morti sono stati “solo” due, l’attentatore e il militare.

Il memoriale dentro il campo di Sabra e Shatila (foto Elia Milani)

Il memoriale dentro il campo di Sabra e Shatila (foto Elia Milani)

Da queste parti la morte la si conosce bene. A cento metri dall’entrata del campo di Sabra e Shatila, nascosto dietro le bancarelle di frutta, i girarrosti, le immagini dei martiri, le bancarelle di vestiti, dolci, cd e maglie dei calciatori, c’è un memoriale spoglio e poco curato: solo una scritta ricorda che qui nel settembre del 1982 i falangisti cristiani hanno massacrato un imprecisato numero di persone stimato tra le mille e le 3mila.

Un bambino, una bandiera del Brasile e una pistola giocattolo, Sabra e Shatila (foto Elia Milani)

Un bambino, una bandiera del Brasile e una pistola giocattolo, Sabra e Shatila (foto Elia Milani)

Ma il mondiale a Beirut non è solo profughi, Hezbollah e bombe. È soprattutto passione. Qui è impossibile dimenticare che a migliaia di chilometri di distanza si gioca per la coppa più prestigiosa. In Libano la ka’s al ‘alam, il campionato del mondo, è ovunque. Enormi bandiere delle nazionali sono appese sulle gru dei numerosissimi cantieri libanesi o messe in bella vista sui balconi delle case di tutta Beirut. Ad Hamra, quartiere nel cuore della città, ragazze con labbra e naso vistosamente rifatti, sfilano per la strada sfoggiando le loro maglie di Argentina, Germania e Brasile. Molti tassisti musulmani hanno appeso allo specchietto retrovisore la mano di Fatima in “versione Mundial”. E non c’è ristorante o bar senza bandiere o senza una tv costantemente sintonizzata sui programmi di calcio. Le squadre più amate sono la Germania e il Brasile ma dopo l’eliminazione della Seleção di Scolari i simboli verdeoro sono diminuiti, sostituiti a tempo di record da quelli dell’Argentina di Messi. Anche questo fa capire come Beirut, più di ogni altra città, sappia adattarsi in fretta ai cambiamenti.

Gemmayze, Beirut

Gemmayze, quartiere cristiano di Beirut (foto Elia Milani)

La passione per il calcio frantuma anche le barriere ideologiche. Molte famiglie nel sud del Libano, non potendosi permettere il costoso abbonamento alla pay tv per guardare tutte e 64 le partite della campionato del mondo, hanno preferito ricorrere alla tecnologia “nemica”: piuttosto che rimanere senza Mondiale si sono sintonizzati sul segnale della tv israeliana. Il governo, non potendo tollerare che nelle case libanesi riecheggiasse una telecronaca in ebraico, si è subito affrettato a rendere gratuito l’accesso a tutte le partite.

Maxischermo vicino alla spiaggia di Jiye, a sud di Beirut (foto Elia Milani)

Maxischermo vicino alla spiaggia di Jiye, a sud di Beirut (foto Elia Milani)

In Libano il Mondiale sta facendo passare tutto il resto in secondo piano. E dire che gli argomenti di cui preoccuparsi non mancano, a partire dal fatto che il paese è senza un presidente (l’ex ra’is Suleiman ha terminato il mandato il 25 maggio e le votazioni in Parlamento si susseguono da allora senza esito). C’è poi la guerra in Siria che rischia di far ripiombare da un giorno all’altro il Libano in una guerra civile; e non dimentichiamo l’avanzata del neo Califfato jihadista che continua a promettere sangue e attentati nel paese per punire i kuffar, gli infedeli sciiti che sostengono Assad. Eppure al momento, incredibile a dirsi, tutti questi problemi preoccupano meno dei black-out che ogni giorno colpiscono la città e rischiano di lasciarla al buio in momenti “cruciali” come i supplementari o i rigori di una partita del Mundial.

Tassista e la mano di Fatima in "versione Mundial", Beirut (foto Elia Milani)

Un tassista libanese e la mano di Fatima in “versione Mundial”, Beirut (foto Elia Milani)

Durante le partite il paese si ferma. Le tv libanesi, fino a quel momento sintonizzate senza sosta sulle imperdibili serie tv del Ramadan, lasciano spazio alla diretta brasiliana. Si ammirano le prodezze dei giocatori tedeschi, argentini e olandesi e si ascoltano le surreali telecronache dei commentatori sportivi che mescolano arabo, francese, italiano e spagnolo creando un grammelot che diverte non poco gli spettatori libanesi. Finita la partita è il momento di festeggiare: cortei di scooter, petardi, qualche colpo di pistola sparato in aria, file di macchine con bandieroni da stadio che bloccano il traffico anche fino a tarda notte.

twitter@elia_milani

Una risposta a “Il Mondiale a Beirut tra bandiere, attentati, campi profughi e tv israeliane

  1. Questo articolo è un interessante colpo d’occhio… rende alla perfezione l’atmosfera che si respira durante i mondiali, anche in Libano.

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