Incenso, cantieri e suv: benvenuti in Oman la terra del sultano senza figli

Il ragazzo cammina lentamente avvolto nella sua tunica bianco candido. Mi passa davanti mentre parla tranquillo con il suo iPhone 5. Il profumo che lascia dietro di sé è inebriante e non sparisce nemmeno quando, continuando a parlare, si mette al volante del suo suv parcheggiato di fronte al suq della città vecchia a due passi dal mare. Ce ne sono tante di macchine come la sua lungo la passeggiata del porto di Muscat, la capitale dell’Oman.

Il porto di fronte alla città vecchia nel distretto di Mutrah a Muscat, Oman (Afp)

Il porto di fronte alla città vecchia nel distretto di Mutrah a Muscat, Oman (Afp)

In questa strana e profumata città, “spalmata” su 50 chilometri, è quasi impossibile spostarsi a piedi. Nell’intreccio di strade e sopraelevate, tutti costruite negli ultimi 20 anni, è raro vedere una utilitaria. Qui ci si sposta con i suv, macchinoni coreani o cinesi che gli omaniti comprano nelle decine e decine di concessionarie che costellano una città in pieno boom economico.

Tante macchine e traffico eppure nessun odore acre di smog. Forse perché in Oman si produce da secoli il migliore incenso del mondo. E a ricordare questo primato c’è il gigantesco bruciatore di incenso che osserva Muscat dalla cima di una montagna e la osserva cambiare pelle.

Il grande bruciatore di incenso che domina dall'alto Muscat (Afp)

Il grande bruciatore di incenso che domina Muscat dalla montagna (Afp)

Dall’alto Muscat è un misto di natura e progresso: da un lato la grande spiaggia che corre per 20 chilometri fino alla vicina città di Seeb; dall’altro lato una distesa di montagne lunari. In mezzo il futuro: cantieri, cantieri e ancora cantieri.

A pochi metri dai picchi di montagne mozzate che sembrano posate da Allah a difesa di questa perla del Medio Oriente si lavora a qualsiasi ora del giorno alla costruzione di strade, sopraelevate e case. La corsa al nuovo non si ferma mai, ma qui di palazzoni stile Dubai neanche l’ombra. Solo qualche hotel all’estremità della città ricorda i grattacieli dei vicini emirati arabi. In città le case sono basse, mai più alte dei minareti delle moschee. Così ha deciso il sultano, Qabus bin Sa’id al Sa’id, l’artefice del boom economico dell’Oman.

Il sultano Qabus in un quadro al City Season di Muscat (foto Elia Milani)

Il sultano Qabus in un quadro al City Season Hotel di Muscat (foto Elia Milani)

E’ lui il riformista, il monarca illuminato che siede sul trono dal 1970, dopo un golpe bianco in cui rovesciò il padre. Da allora ha preso per mano il paese e lo ha guidato fino alla prosperità di oggi. La sua barba curata, il suo sguardo tranquillo incorniciato da una dishdasha (abito tradizionale) con cintura e khanjar (pugnale omanita), accoglie il visitatore negli alberghi, nelle banche, nei ristoranti e in tutti i negozi della città. Eppure, nonostante i suoi onnipresenti ritratti, qui non si percepisce quell’invadenza del potere tipica dei vicini regimi mediorientali.

“Perché il sultano non ha figli?”. Alla mia domanda Ahmed, 20 anni, studente di ingegneria all’università di Muscat sorride. “E’ vero è strano… ma a noi non interessa, lo amiamo lo stesso”. Il sultano Qabus non è sposato e non ha figli. E per un uomo della sua età (73 anni), specie nel mondo arabo, la cosa desta più di una perplessità. Si vocifera che Qabus sia gay e che i suoi amanti siano ospitati in gran segreto nel palazzo.

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La piazza di fronte al palazzo del sultano a Muscat (foto di Elia Milani)

Ma cosa faccia il sultano nella sua camera da letto interessa poco agli omaniti. I sudditi pensano a godersi la ricchezza di un paese in continua crescita dove la parola “rinascimento” riecheggia in ogni discorso tra commercianti, guide, taxisti o negozianti. “Trent’anni fa per spostarci da un villaggio all’altro usavamo gli asini o le biciclette”, racconta Abdulrahman, tassista sessantenne. “Ora ci sono i suv, le macchine o anche le barche attraccate nel porto di fronte al suq della città vecchia”.

Tra queste imbarcazioni spicca Al Said, il mega yacht del sultano, uno dei più grandi del mondo, lungo 155 metri e messo in bella vista proprio dove le masse dei turisti occidentali attraccano a bordo delle navi da crociera europee. L’instabilità politica in molti stati arabi ha deviato l’onda dei turisti nei paesi del Golfo: in Oman il giro d’affari legato al turismo ha superato i due miliardi di dollari, cifra che, secondo il World Economic Forum, è destinata ad aumentare. Nel 2011 si sono contati 2 milioni di turisti ma l’obiettivo per il 2020 è raggiungere i 12 milioni.

Al Said, il mega yacht del sultano, Muscat, Oman (Afp)

Al Said, il mega yacht del sultano Qabus nel porto di Muscat, Oman (Afp)

Sempre più navi e aerei arrivano dal vecchio continente: le nuove tratte che dal 2009 collegano Muscat alle principali città europee (Parigi, Monaco di Baviera, Francoforte, Milano, Zurigo) hanno fatto aumentare esponenzialmente le visite nella terra dell’incenso. Con i turisti arrivano anche gli euro che vanno a riempire le casse del sultanato, già strabordanti grazie a quello che gli omaniti considerato un dono di Allah: il gas naturale.

Ora che le vecchie riserve petrolifere stanno per esaurirsi si punta tutto sull’estrazione di gas di cui l’Oman è tra i primi 20 esportatori al mondo. Grazie a questa ricchezza naturale il paese riesce a mantenere una crescita stabile. Ma a differenza dei vicini Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi, qui si è scelto di lasciare da parte lo sfarzo e l’opulenza: nessuna gara per costruire i grattacieli più alti del mondo. Il sultano non vuole sprecare le risorse del paese e cerca di “educare” i sudditi: sì ai sussidi, ma anche responsabilizzazione nell’uso dell’energia.

La città vecchia di Muscat (foto Elia Milani)

La città vecchia di Muscat (foto Elia Milani)

La ricetta sembra funzionare. La prosperità attira nel sultanato una grande quantità di immigrati, soprattutto indiani e pakistani. Loro, a differenza della maggior parte degli omaniti, si spostano per la capitale con i microbus: i suv restano un sogno. “Sono gli immigrati a lavorare nei cantieri e a costruire le strade anche sotto il sole di mezzogiorno”, racconta Muhammad, guida turistica di 36 anni. “Lavorano tantissimo e si fermano solo durante le ore più calde dei mesi estivi”. Dopo il lavoro, indiani e pakistani tornano nei loro piccoli appartamenti a Ruwi, quartiere rinominato Little India. Nelle strade e nei negozi di questa parte di Muscat le lingue più diffuse sono l’hindi e l’urdu. E se si prova a parlare inglese o arabo è quasi impossibile farsi capire.

Se gli immigrati sono il braccio della nazione, i giovani sono la mente. Metà della popolazione omanita ha meno di 20 anni ed è stata sfiorata solo in parte dal vento delle primavere arabe che ha soffiato lontano da qui. Il mantra della stabilità non è quindi stato scalfito: rare le proteste di piazza, nessun accenno di rivolta stile Siria o Egitto. Per la gioia delle potenze mondiali (Usa e Arabia Saudita in testa) che vedono nell’Oman un “guardiano pacifico” dello Stretto di Hormuz, la “giugulare dell’Occidente” da cui passa il 40% del petrolio e del gas mondiali. “Non conviene a nessuno che l’Oman si destabilizzi”, dice Omar, studente di economia a Muscat. “Se ci fosse una rivoluzione il prezzo del greggio schizzerebbe alle stelle. Nel nostro regno deve a tutti i costi regnare pace e tranquillità”.

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Pescatori sulla spiaggia di fronte a Muscat (foto Elia Milani)

La sera cala su Muscat. La lunga spiaggia di fronte alla città comincia ad animarsi. Decine di ragazzini con le maglie di Barcellona, Arsenal, Juve e Real Madrid giocano a calcio su campi improvvisati. Su una barca a pochi metri dalla riva alcuni pescatori gettano le reti in mare. Tornano sul bagnoasciuga e legano le estremità della rete a due pick up. Le macchine inseriscono la retro e, piano piano, trascinano a riva la rete gonfia di pesci che saranno venduti al mercato. Un suv si ferma poco lontano. Due ragazzi con il vestito bianco candido scendono dal mezzo color seppia e si avvicinano curiosi scattando foto con il loro iPhone.

 twitter@elia_milani