Le manette ai polsi. Il velo bianco che cade disordinato sulla testa e che incornicia due occhi spauriti. Amina è tornata ad essere una ragazza di 19 anni abbandonando quella veste di lottatrice che, a seno nudo, ha sfidato la tradizione tunisina urlando la sua voglia di cambiamento al mondo intero. Amina Sboui (che si fa chiamare Amina Tyler) è la Femen tunisina che combatte la tradizione mostrandosi nuda in segno di protesta contro un sistema che non sente più suo. L’ultima contestazione in pubblico (coincisa con il suo arresto) il 19 maggio scorso davanti alla Grande moschea di Kairouan, con i radicali salafiti riuniti per una manifestazione in città. Nella stessa Kairouan si è presentata il 5 giugno circondata da agenti di polizia che la scortavano davanti al giudice istruttore. Dopo le proteste è arrivato il momento di rispondere alla legge tunisina. Come tutte le detenute è stata costretta a indossare un sefseri, un velo chiaro che la copriva dalla testa ai piedi nascondendo i suoi capelli biondo platino.
L’accusa è quella di possesso di un “oggetto incendiario”, una bomboletta spray al peperoncino. A questo si aggiungono testimonianze di ragazzi che l’avrebbero vista scrivere la parola ‘Femen’ sul muro di un cimitero vicino alla moschea principale. L’interrogatorio è durato a lungo. Il giudice sente su di sé una forte pressione e – in una Tunisia scossa da nuove tensioni – sa che la sua decisione può creare un precedente. Dalla parte di Amina ci sono gli esponenti del mondo femminile e gli attivisti per i diritti dell’uomo. Contro di lei c’è gran parte della Tunisia che la addita come deviata e si aspetta una condanna esemplare. Il clima è tesissimo. La conferma arriva anche da Tunisi, dove il tribunale ha confermato la detenzione in carcere per Marguerite, Pauline e Josephine, le tre attiviste Femen che hanno manifestato nude a favore di Amina.
@elia_milani