O i baffi o la vita: la battaglia di Malik contro gli estremisti islamici

Ai suoi baffoni non ha mai pensato di rinunciare. Ci ha messo così tanto a farli crescere e non ha nessuna intenzione di tagliarli, nonostante le numerose minacce di morte. Malik Amir Mohammad Khan Afridi ha 48 anni e da 20 anni impomata, accarezza e profuma i suoi baffi di 76 centimetri che si inarcano fino all’altezza della fronte. Tra gli abitanti del suo villaggio di Banna, 250 chilometri a nord di Islamabad, tutti lo considerano una star. Non gli uomini di Lashkar-i-Islam, gruppo di estremisti islamici che lotta per imporre la shari’a. E che non tollera quei baffi che si innalzano troppo verso il cielo.

 

Malik Amir Mohammad Khan Afridi, il commerciante pakistano sequestrato dagli integralisti musulmani a causa dei suoi baffi (Afp)

Negli ultimi quattro anni il baffuto pakistano è stato più volte minacciato di morte. Nel 2009 i terroristi lo hanno sequestrato per un mese e lo hanno rilasciato solo dopo la sua promessa di radersi. Malik però non ha accorciato di un centimetro i suoi baffoni neri e si è trasferito nella vicina Peshawar lasciando nel suo villaggio la moglie e i 10 figli. Ha preferito una vita da esiliato lontano dai suoi cari piuttosto che rinunciare al suo rituale mattutino preferito: una toeletta di mezz’ora per trattare i baffi con olio di mandorle e con una speciale cera di composizione ignota che gli costa 150 dollari al mese, il triplo dello stipendio medio di un insegnante pakistano. Continua a leggere



Un americano (jihadista) in Siria

Tra i passaporti ammucchiati nella base di Al Qaeda è spuntato il suo. Amir Farouk Ibrahim, 32 anni, americano. Insieme ai ribelli che combattono in Siria contro Assad c’è anche questo ragazzo della Pennsylvania con passaporto a stelle e strisce attivo, molto probabilmente, con i soldati dello “Stato Islamico di Iraq e del Levante”, gruppo estremista vicino ad Al Qaeda. Il documento è stato trovato a Ras al Ayn (città al confine con la Turchia) in una ex base controllata dal partito islamista. Era insieme ad altri 15 passaporti di stranieri entrati nella “pentola a pressione siriana”: sauditi, iracheni, turchi e tunisini, tutti parte di quella schiera che ha abbandonato il proprio Paese per venire a combattere la guerra santa in Siria.

Amir Faruk Ibrahim, l’americano che combatte a fianco dei ribelli siriani

Se l’identità di Amir Farouk Ibrahim venisse confermata si tratterebbe del terzo americano volato in Medio Oriente per combattere il jihad. Prima di lui Eric Harroun, ex marine che ha confessato di avere agito al fianco di Jabhat al Nusra, i ribelli integralisti che avrebbero tentato di utilizzarlo come portavoce. Ora, dopo essere stato arrestato dall’Fbi, rischia la sedia elettrica. La terza della lista è Nicole Lynn Mansfield, una donna di 33 anni del Michigan, convertitasi all’Islam e trovata morta nel nord ovest della Siria. Tre jihadisti born in the Usa che fanno notizia anche perchè è dagli Stati Uniti che è partita la guerra al terrore senza frontiere costata miliardi di dollari.

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Con Abu Paolo nella “sua” Mar Musa

Seduto sui tappeti della chiesa con gli occhi chiusi, concentrato sulle parole della liturgia recitata in italiano, inglese e arabo. Nel buio che avvolgeva la piccola cappella di Mar Musa, il monastero arroccato su una montagna del deserto siriano, le candele accese evidenziavano i tratti del volto di padre Paolo Dall’Oglio. E’ l’immagine del gesuita che mi è rimasta impressa nella mente. Anche se l’ho incontrato altre volte, durante conferenze a sostegno del popolo siriano, la sua forza di spirito percepita in quell’agosto del 2008 è ancora scolpita nella mia memoria.

Padre Paolo Dall'Oglio

Padre Paolo Dall’Oglio

Paolo Dall’Oglio, o Abu Paolo come lo chiamano gli arabi, è un omone imponente di 58 anni, occhiali spessi, barba da saggio e un fare gentile ma deciso. Quando lo osservavo accogliere i turisti nella “sua” Mar Musa era chiaro chi avevo davanti: un uomo tenace, un gesuita che ha messo in campo la propria vita per passione, per seguire un’ideale. Nel 1982 rifondò il monastero per ospitare sia i cattolici sia gli ortodossi, evento che ha portato alla nascita del santuario di Mar Musa, una comunità spirituale ecumenica mista che promuove il dialogo tra cristianesimo e islam.

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Ramadan, a digiuno anche da Facebook

Senza mangiare, senza bere, senza fumare. E ora anche senza Facebook e Twitter. Perché il digiuno deve essere totale e includere anche quei social network che distraggono dalla lettura del Corano. Una posizione radicale non condivisa dalla maggior parte dei musulmani, ma che sta suscitando un dibattito durante questo Ramadan, il mese sacro del digiuno considerato uno dei cinque pilastri dell’Islam.

Fedeli pakistani in preghiera durante Ramadan (Afp)

Fedeli pakistani in preghiera durante Ramadan (Afp)

Se per alcuni devoti è importante ridurre l’uso dei social network (tweet e aggiornamenti di status non sono graditi), per altri, la scelta di restare connessi, rispecchia un nuovo modo di vivere l’Islam. Il fedele 2.0 non usa solo libri di carta per pregare e leggere la parola di Allah ma scarica app sullo smartphone che lo informano, per esempio, sull’ora della preghiera e gli ricordano di leggere una sura del Corano al momento adatto. La tecnologia al servizio della religione quindi. Continua a leggere



Fuori Morsi, dentro i militari corrotti, i veri traghettatori della democrazia in Egitto

Irhal irhal, vattene, urla in coro piazza Tahrir in diretta mondiale. La piazza da tempo simbolo del mondo musulmano brama democrazia ma si ritrova, paradossalmente, a cercare l’appoggio di un esercito corrotto che di fatto non è mai uscito di scena. Ed ecco che, cacciati dalla finestra, i militari rientrano dalla porta d’ingresso. Perchè oggi l’odio per Morsi, il cattivo accusato di voler islamizzare il Paese, è maggiore di quello per l’esercito che in queste ore si è messo alla guida dell’ennesimo colpo di stato all’ombra delle piramidi. Morsi, il leader dei Fratelli Musulmani eletto presidente solo un anno fa superando di poco un ex ministro di Mubarak viene così deposto, e ai domiciliari è costretto a trattare.

La protesta di piazza Tahrir è stata la miccia che ha portato alla destituzione di Morsi: ma chi controlla la transizione è l'esercito (Afp)

La protesta di piazza Tahrir è stata la miccia che ha portato alla destituzione di Morsi: ma chi controlla la transizione è l’esercito (Afp)

Il rischio di instabilità cresce. “Ho paura del caos”, mi scrive Ronak, un’ amica curda di Damasco sfuggita all’inferno siriano e ora costretta a vivere l’ennesimo colpo di stato egiziano.

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“Mamma vado in Siria a combattere la guerra santa”

Tedeschi, francesi, belgi, e svedesi. E poi tunisini, iracheni, libanesi. Tutti uniti da un’unica passione: la guerra santa, il jihad. La Siria sembra essere diventata un bacino di attrazione per gli estremisti provenienti da ogni parte del pianeta. Tutti volenterosi di abbracciare un fucile, indossare una divisa militare e urlare al cielo “Allahu akbar”, Dio è grande, durante una battaglia per la liberazione del paese oppresso da Bashar al Assad.

Se è difficile avere una stima accurata dei volenterosi che nel mondo arabo hanno abbandonato la famiglia per unirsi alla nuova guerra santa, tutto è più facile se ci si limita alla sola Europa. Stando a un report del King’s College London, sono più di 600 gli aspiranti martiri che, dopo aver abbracciato l’Islam, hanno abbandonato famiglia e amici nel Vecchio Continente per prendere parte al conflitto iniziato nel marzo 2011 che ha causato finora più di 70mila morti. Si tratta di nuovi jihadisti europei provenienti da 14 paesi diversi tra cui Austria, Gran Bretagna, Germania, Spagna, Svezia, Irlanda e Belgio.

Battaglia ad Aleppo: più di 600 ragazzi europei hanno lasciato il loro paese per combattere con i ribelli in Siria (Ansa)

“Mio figlio, il terrorista” – Tra di loro c’è Jejoen Bontinck, 18enne di Anversa, Belgio. La passione per l’Islam radicale è nata guardando i video su You Tube, definito non a caso il “principale reclutatore di terroristi”. Il ragazzo due anni fa ha lasciato la danza hip hop e si è avvicinato alla religione del Profeta entrando nel gruppo La sharia per il Belgio. “Gli hanno fatto il lavaggio del cervello”, continua a ripetere incredulo il padre Dimitri intervistato dai media di tutto il Paese.
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Con velo e manette: Amina in tribunale dopo la protesta a seno nudo

Amina Sboui, la Femen tunisina (Afp)

Amina Sboui, la Femen tunisina (Afp)

Le manette ai polsi. Il velo bianco che cade disordinato sulla testa e che incornicia due occhi spauriti. Amina è tornata ad essere una ragazza di 19 anni abbandonando quella veste di lottatrice che, a seno nudo, ha sfidato la tradizione tunisina urlando la sua voglia di cambiamento al mondo intero. Amina Sboui (che si fa chiamare Amina Tyler) è la Femen tunisina che combatte la tradizione mostrandosi nuda in segno di protesta contro un sistema che non sente più suo. L’ultima contestazione in pubblico (coincisa con il suo arresto) il 19 maggio scorso davanti alla Grande moschea di Kairouan, con i radicali salafiti riuniti per una manifestazione in città. Nella stessa Kairouan si è presentata il 5 giugno circondata da agenti di polizia che la scortavano davanti al giudice istruttore. Dopo le proteste è arrivato il momento di rispondere alla legge tunisina. Come tutte le detenute è stata costretta a indossare un sefseri, un velo chiaro che la copriva dalla testa ai piedi nascondendo i suoi capelli biondo platino.

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Shisha Room, e il narghilè si fuma in aereo

Narghilè in prima classe e la Shisha Room (Emirates Airlines)

Si chiamerà Shisha Room, la camera del narghilè. Non si tratta dell’ennesimo nuovo bar nel centro di Beirut, di Casablanca o del Cairo, ma di una speciale sala a 10mila metri di altezza, a bordo dei superjumbo della Emirates Airlines. Dal prossimo mese sugli Airbus 380 sarà infatti possibile fumare la pipa ad acqua durante il volo.

I passeggeri potranno ordinare il narghilè scegliendo tra i gusti disponibili raccolti in un apposito menù. E, comodamente seduti, potranno respirare i profumi d’oriente tra le nuvole. La compagnia aerea con base a Dubai ha comunicato che sono già pronti i nuovi lounge su alcuni suoi voli a lungo raggio.  Continua a leggere



Intervista a Lina Ben Mhenni, la blogger tunisina che ha sfidato il regime: “Mi minacciano di morte ma sono pronta a tutto. La protesta di Amina a seno nudo?Esagerata”

Lina Ben Mhenni (Afp)

Lina Ben Mhenni (Afp)

“Buon compleanno Lina”. “Grazie, ma c’è poco da festeggiare oggi in Tunisia”. Anche il giorno del suo 30° compleanno non è tempo per riposarsi: la rivoluzione non può aspettare. È schietta e diretta Lina Ben Mhenni, l’attivista e blogger tunisina protagonista della “Rivoluzione dei gelsomini” che, il 14 gennaio del 2011, ha portato alla fuga Ben Ali, l’odiato dittatore che ha governato il paese per 23 anni.
La Tunisian Girl (questo il nome del suo blog) non ha mai abbassato la testa di fronte alle minacce del regime e ha continuato a far sentire la sua voce di protesta. La sua lotta per i diritti umani e per l’abolizione della censura l’ha portata a un passo dal Nobel per la Pace 2011, poi vinto da un’altra donna araba, Tawakkul Karman. Oggi, dopo l’escalation di violenza in Tunisia racconta a Voci dal suq il difficile momento che sta attraversando il suo paese.
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L’Arabia Saudita va a caccia di hacker per spiare Twitter e Whatsapp

AAA cercasi hacker. Il regno saudita sembra proprio avere un disperato bisogno di informatici esperti nello sbirciare i segreti dei suoi sudditi. Il braccio informatico di Riyad è alla caccia di geni del web in grado di intercettare e bloccare il flusso dei messaggi nelle chat di Twitter, Whatsapp, Viber e Line, quattro sistemi di messaggistica tra i più diffusi in Arabia Saudita.

Che i governi mediorientali (e non solo) investano tempo e risorse per controllare le comunicazioni all’interno del loro territorio è cosa nota. Che lo faccia l’Arabia Saudita, lo stato al centro dei giochi di potere in tutto il Medio Oriente (Siria compresa) è risaputo. Meno noti sono i modi con cui si cerca di reclutare giovani informatici per fini governativi.

A rendere pubbliche le modalità con cui i sauditi reclutano le nuove leve è stato Moxie Marlinspike, pseudonimo di un ragazzo di San Francisco che si definisce “ingegnere informatico, hacker, marinaio e capitano” appassionato di viaggi. Sul suo blog ha detto di essere stato contattato da un  rappresentante della Mobily, uno dei due operatori telefonici che operano in Arabia Saudita, che si è detto interessato a trovare “soluzioni per monitorare i dati criptati nelle telecomunicazioni”.

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