Isaac, il sopravvissuto alla Shoah costretto a vendere accendini per le strade di Israele

Come ogni mattina Isaac si sveglia, fa colazione con la moglie Golda mentre accarezza i suoi gatti Shula e Lucky. Insieme all’inseparabile bastone esce dal suo appartamento al quarto piano di una palazzina alla periferia di Beer Sheva e, a fatica, scende le sette rampe di scale spingendo avanti a sé il carrello pieno di oggetti che spera di vendere per strada durante il corso della giornata.

Isaac, Beer Sheva, gennaio 2018

“Ogni giorno, dal mattino, mi metto a vendere penne, pile e accendini per portare a casa qualche soldo in più”, racconta Isaac mentre sistema su una coperta marrone i barattoli pieni di oggetti comprati a uno shekel e rivenduti a due. “Qui a Beer Sheva c’è una grande università e molti studenti si fermano a comprare qualcosa. Al giorno porto a casa l’equivalente di 10-15 euro”.

Isaac è un superstite della Shoah, uno degli 85mila ebrei sopravvissuti all’Olocausto che vivono sotto la soglia di povertà. E a 81 anni non avrebbe mai pensato di finire a vendere accendini per strada. 

Isaac Segal, 81 anni, sopravvissuto alla Shoah

Oggi Isaac è malato e non ce la fa ad arrivare a quella che chiama “la sua postazione”, il supermercato a 300 metri da casa dove tutti lo conoscono. “La gente gli vuole bene, gli compra spesso qualcosa da mangiare”, racconta la commessa Hanna. “Fa male vedere una persona con la sua storia costretta a fare l’ambulante”.

“Molti gli fanno piccole offerte”, dice Bar, giovane addetto alla sicurezza. “A quel punto lui inizia a raccontare lunghe storie sull’Olocausto e su quello che ha passato quando era in Romania durante la guerra”.

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Perché prima di diventare un povero anziano costretto a fare il venditore ambulante per comprarsi da mangiare Isaac ha provato sulla sua pelle la vera sofferenza: aveva 8 anni quando la seconda guerra mondiale ha sconvolto la sua vita e quella della sua famiglia.

“Nella Romania alleata con i nazisti noi ebrei eravamo trattati come schiavi”, ci racconta. “Io ero costretto a lavorare in un ospedale e davo da mangiare ai soldati tedeschi. Mi ricordo di un ufficiale italiano che ogni giorno con un bastone picchiava noi bambini ebrei: mi diceva che avrebbe voluto uccidermi, ma i miei capelli ricci gli ricordavano suo cugino. Sono salvo solo per i miei capelli ricci, capisci?”.

Anni duri, senza cibo e con il terrore di finire vittima dei capricci dei nazisti. “Un giorno io e un mio amico eravamo affamati e ci siamo messi a cercare cibo nella spazzatura. Due soldati tedeschi ubriachi hanno iniziato a insultarci e poi ci hanno sparato addosso: io mi sono salvato ma ho visto morire il mio amico davanti ai miei occhi“.

Finita la guerra Isaac ha provato a scappare dalla Romania per andare nel neonato Stato di Israele. “Volevo partire il prima possibile ma dopo il 1945 in Romania sono arrivati i comunisti. Il regime dipendeva dall’Unione Sovietica che non lasciava andare via nessuno: eravamo bloccati”.

Ebrei sopravvissuti alla Shoah sbarcano sulle coste del neonato stato di Israele, 1949

Lunghi anni passati sotto il regime comunista mentre la Storia andava avanti. Nel 1952 venne firmato l’accordo di Lussemburgo in base al quale la Germania Ovest prometteva di risarcire le vittime dei crimini perpetrati dai nazisti. Il governo israeliano di allora stabilì che quella indennità di guerra sarebbe stata erogata solo ai sopravvissuti alla Shoah immigrati in Israele prima del ‘53. Alle persone arrivate dopo non veniva destinato quasi nulla.

“Sono stato sfortunato”, sospira Isaac. “Sono arrivato in Israele solo nel 1967. Ho passato la vita a fare il falegname. Poi sono diventato vecchio e non riesco più a lavorare. Io e mia moglie Golda viviamo grazie alla pensione sociale: in due prendiamo 4000 shekel al mese, poco meno di 500 euro a testa”.

Isaac e la moglie Golda: i due sono sposati da 49 anni

Sono 85mila gli anziani sopravvissuti alla Shoah che vivono in Israele sotto la soglia della povertà. A confermarlo è Yechiel Eckstein, rabbino americano fondatore di Keren le Yedidut una delle più grandi organizzazioni filantropiche israeliane che ogni giorno fornisce assistenza a oltre 20mila superstiti.

“Il motto della nostra organizzazione è che non basta ricordare, bisogna agire“, dice Yechiel seduto nel suo studio di Gerusalemme. “Le persone in difficoltà sono anziani di 80-90 anni che sono scampati all’inferno e che ora non ce la fanno nemmeno a comprare pane o medicine”.

Keren le Yedidut (conosciuta anche come International Fellowship of Christian and Jews) è nata nel 1994 per aiutare le persone più emarginate, ma negli ultimi mesi si sta occupando sempre più dei “sopravvissuti poveri”, una nuova categoria di bisognosi.

“Ad oggi lo Stato fornisce assistenza per 20-24 ore alla settimana e un piccolo sussidio ma è troppo poco”, continua il rabbino. “Dobbiamo aiutare questi sopravvissuti in modo che possano vivere i loro ultimi anni con dignità, perché non pensino di essere stati dimenticati”.

Mentre alla Knesset, il parlamento israeliano, si cerca una soluzione al problema la solidarietà degli israeliani è già entrata in azione. Un dentista ha contattato l’organizzazione per poter aiutare Isaac gratuitamente. “Sono felice”, dice l’81enne mostrando il suo sorriso sdentato. “Tra poche ore ho il primo appuntamento e magari potrò finalmente avere una dentiera che funziona”. 

twitter@elia_milani

 

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