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Isis, “largo ai giovani”: il campo di addestramento dei baby mujahidin
Ragazzini vestiti di nero, in fila, uno vicino all’altro. L’insegnante barbuto si avvicina. E inizia a colpire le giovani reclute. Pugni al petto e in pancia. Poi arrivano i calci: colpi alle ginocchia, agli stinchi e al petto. I ragazzi (avranno sì e no 12-13 anni) vengono fatti sdraiare per terra: il maestro li colpisce allo stomaco e li fa rialzare al grido di Allah akbar, Dio è grande. Benvenuti nel campo di addestramento per baby mujahidin “gestito” dall’Isis.
E’ dima’ al jihad 2, il “sangue del jihad 2”, ennesimo video messo online dalla rete terroristica autoproclamatasi stato nel cuore di Iraq e Siria. Il filmato è stato girato nel governatorato di Ninawa, nel nord ovest dell’Iraq all’esterno di un palazzone abbandonato. E’ qui che vanno in scena gli addestramenti delle nuove reclute del Califfo. E dopo il campo per gli uomini (diffuso nel video dima’ al jihad 1) ecco quello per i più giovani, i futuri combattenti al servizio di Al Baghdadi.
I bambini vengono presi a pugni e calci dal loro maestro ma non piangono, qualcuno addirittura sorride. Questi giovani sanno che con questi allenamenti si preparano a diventare eroi o, se saranno fortunati, martiri.
Vita nel Califfato, tra manichini velati, chiese distrutte, bombe Usa e viaggi di nozze
Teste mozzate, coltellacci insanguinati, bandiere nere e folle di barbuti che imbracciano un fucile gridando al mondo la grandezza di Allah. Sono i mujahidin dell’Isis, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, gruppo terrorista sunnita che nel mondo arabo chiamano Da’ish. Le imprese di questi soldati che con il volto coperto e vestiti di nero promettono morte agli infedeli hanno preso in contropiede il mondo dell’intelligence (americani e sauditi su tutti) rimasto stupito della rapidità del successo militare. Agli occhi degli analisti questo gruppo terrorista sembrava poco più di un insieme di fanatici, come ce ne sono tanti in Medio Oriente. Questo fino alla sera del 29 giugno scorso quando, all’inizio del Ramadan, veniva proclamata la restaurazione del Califfato Islamico, una resurrezione 100 anni dopo la fine del Califfato Ottomano, defunto alla fine della Prima Guerra Mondiale. Ora il Califfato è rinato e alla sua guida c’è Ibrahim Abu Bakr al Baghdadi, l’esperto di studi teologici iracheno che ha guidato i suoi alla conquista del Medio Oriente. Nelle siriane Raqqa, Dei aZ-Zur, e nelle irachene Falluja, Tikrit e soprattutto Mosul (la seconda città dell’Iraq con 2milioni e 800 mila abitanti, poco meno di Roma) oggi sventola la bandiera nera. Una cavalcata trionfale che ha attirato l’attenzione dei governi di tutto il mondo preoccupati per il fascino che questo stato dei “puri” sta avendo sui giovani sparsi in tutto il mondo. Ecco allora l’invio di droni americani: Washington è preoccupata per l’incolumità dei suoi connazionali, per quella dei cristiani d’Oriente e, soprattutto, per la diffusione di un movimento che ha come obiettivo quello di “far sventolare la bandiera nera sopra la Casa Bianca”. In queste ore aerei senza pilota stanno colpendo postazioni strategiche nello Stato Islamico. Ma i danni non sembrano fermare il gruppo di Al Baghdadi che dopo gli scontri a fuoco contro l’esercito iracheno e curdo lavorano giorno e notte al rafforzamento di uno Stato dove la parola di Allah è legge. Continua a leggere
Neve, Champions e guerra
Tabelline sotto le bombe: a lezione nelle scuole “italiane” di Aleppo
“Sette per uno sette, sette per due quattordici, sette per tre ventuno…”. Gessetto in mano, il maestro scrive in colonna i numeri alla lavagna. I bambini lo ascoltano in silenzio seduti tra i banchi rosa e neri. La lezione di matematica è iniziata da 10 minuti. All’improvviso lo scoppio di una bomba poco lontano. La lezione prosegue. Dopo pochi secondi un’altra esplosione. Gli alunni, tutti tra i 5 e i 12 anni, quasi non ci fanno caso. Nel nord della Siria i bambini sono abituati al sibilo e al frastuono delle bombe lanciate dagli aerei e nulla li distoglie dalla lezione. E’ iniziato così il primo giorno di scuola per 456 bambini di Huraytan, città a 11 chilometri da Aleppo.
Alì, il pediatra dei profughi siriani: “Io non scappo, i bambini hanno bisogno di me”
“Molti medici siriani sono scappati e ora lavorano all’estero”. Il dottor Alì resta un attimo in silenzio. Sullo sfondo le grida dei bambini rendono difficile la conversazione via telefono già disturbata. “Io non ho mai pensato di lasciare la Siria perché qui la gente ha bisogno di me. Non ho paura delle bombe e voglio restare ad aiutare i siriani di ogni religione ed etnia”. Alì Abu al Jud Naser, o semplicemente “dottor Alì”, come lo chiamano i volontari, ha 38 anni ed è il pediatra del campo profughi di Bab al Salam al confine tra Siria e Turchia.
Le tende di questo campo ospitano 16 mila persone, tra cui 8mila bambini (il più piccolo ha compiuto da poco un mese). “Al campo arrivano ogni giorno quasi 100 bambini insieme alle loro famiglie”, racconta il giovane medico. “Facciamo fatica ad aiutarli perché le condizioni sono pessime: l’acqua non è potabile, le medicine scarseggiano e il numero dei piccoli continua ad aumentare. Ce ne sono di ogni età, da un mese a 10 anni”, ripete più volte Alì come a intendere che in Siria, a 11 anni, non è più possibile essere bambini.
Una delle pazienti più piccole di Alì è Rama: ha 8 mesi e un cuore malato. “Ha bisogno di un intervento chirurgico ma la sua famiglia è molto povera”, racconta il pediatra. “In Siria non ci sono ospedali in grado di curarla e la piccola deve essere trasferita al più presto in Turchia come abbiamo fatto con Fatima un’altra bimba che ora sta bene”. Rama e Fatima sono solo due gocce in quell’ondata di profughi-bambini (un milione in tutto) che ha detto addio ai giochi e all’età della speranza per scappare da una guerra civile che, secondo l’Onu, ha causato la morte di 100mila persone. Continua a leggere
Un americano (jihadista) in Siria
Tra i passaporti ammucchiati nella base di Al Qaeda è spuntato il suo. Amir Farouk Ibrahim, 32 anni, americano. Insieme ai ribelli che combattono in Siria contro Assad c’è anche questo ragazzo della Pennsylvania con passaporto a stelle e strisce attivo, molto probabilmente, con i soldati dello “Stato Islamico di Iraq e del Levante”, gruppo estremista vicino ad Al Qaeda. Il documento è stato trovato a Ras al Ayn (città al confine con la Turchia) in una ex base controllata dal partito islamista. Era insieme ad altri 15 passaporti di stranieri entrati nella “pentola a pressione siriana”: sauditi, iracheni, turchi e tunisini, tutti parte di quella schiera che ha abbandonato il proprio Paese per venire a combattere la guerra santa in Siria.
Se l’identità di Amir Farouk Ibrahim venisse confermata si tratterebbe del terzo americano volato in Medio Oriente per combattere il jihad. Prima di lui Eric Harroun, ex marine che ha confessato di avere agito al fianco di Jabhat al Nusra, i ribelli integralisti che avrebbero tentato di utilizzarlo come portavoce. Ora, dopo essere stato arrestato dall’Fbi, rischia la sedia elettrica. La terza della lista è Nicole Lynn Mansfield, una donna di 33 anni del Michigan, convertitasi all’Islam e trovata morta nel nord ovest della Siria. Tre jihadisti born in the Usa che fanno notizia anche perchè è dagli Stati Uniti che è partita la guerra al terrore senza frontiere costata miliardi di dollari.
Con Abu Paolo nella “sua” Mar Musa
Seduto sui tappeti della chiesa con gli occhi chiusi, concentrato sulle parole della liturgia recitata in italiano, inglese e arabo. Nel buio che avvolgeva la piccola cappella di Mar Musa, il monastero arroccato su una montagna del deserto siriano, le candele accese evidenziavano i tratti del volto di padre Paolo Dall’Oglio. E’ l’immagine del gesuita che mi è rimasta impressa nella mente. Anche se l’ho incontrato altre volte, durante conferenze a sostegno del popolo siriano, la sua forza di spirito percepita in quell’agosto del 2008 è ancora scolpita nella mia memoria.
Paolo Dall’Oglio, o Abu Paolo come lo chiamano gli arabi, è un omone imponente di 58 anni, occhiali spessi, barba da saggio e un fare gentile ma deciso. Quando lo osservavo accogliere i turisti nella “sua” Mar Musa era chiaro chi avevo davanti: un uomo tenace, un gesuita che ha messo in campo la propria vita per passione, per seguire un’ideale. Nel 1982 rifondò il monastero per ospitare sia i cattolici sia gli ortodossi, evento che ha portato alla nascita del santuario di Mar Musa, una comunità spirituale ecumenica mista che promuove il dialogo tra cristianesimo e islam.
L’Arsenal e quel campo da calcio per i profughi siriani
Un campo da calcio per far sognare chi non ha più niente. Per dare una speranza a quei bambini scappati dalla guerra civile che hanno negli occhi e nel cuore le immagini della propria terra che brucia sotto le bombe. Il nuovo campo da calcio è un regalo che l’Arsenal, in collaborazione con Save the Children, ha inaugurato il 2 maggio scorso nel campo profughi di Zaatari in Giordania, centro che ospita 120mila sfollati, fuggiti dalla guerra fratricida siriana che in due anni ha causato più di 80mila morti. Per inaugurare il terreno di gioco su cui si sfideranno nei prossimi mesi i giovani siriani è volato da Londra Martin Keown, ex difensore dei gunners e della nazionale inglese ora, alla veneranda età di 47 anni, in forza ai semiprofessionisti del Wembley.
Assad impiccato: il giustiziere (virtuale) è Wikisham
Bashar al Assad sale sul patibolo. Il boia gli stringe la corda al collo, poi giù nella botola. Il dittatore sanguinario è stato giustiziato? Sì, ma solo nella realtà…virtuale. Tutto può succedere nel regno di Qasr al sha’b, una serie di cartoni animati di satira contro il regime siriano realizzata da Wikisham, un network di giovani esuli siriani.
La satira animata prende in giro il macellaio di Damasco, rappresentandolo come un quarantenne svampito e impacciato. Nelle animazioni video si punta sull’ironia e non c’è traccia delle immagini di bambini massacrati e di corpi dilaniati dalla bombe.